EVENTI DI UNA VITA

BIOGRAFIA ESSENZIALE DI ANTONIO LIGABUE

18 Dicembre 1899

Antonio Ligabue nasce a Zurigo da Elisabetta Costa, originaria di Cencenighe Agordino, località in provincia di Belluno.             È registrato anagraficamente come Antonio Costa.

Settembre 1900

Antonio viene affidato a una coppia svizzero-tedesca, Johannes Valentin Göbel ed Elise Hanselmann, presso la quale rimane fino al 1919. Pur non venendo legittimata la sua adozione, il bambino si lega moltissimo alla matrigna, con un rapporto di amore e odio. La vicenda di Antonio, invece, non si collega in alcun modo con quella della sua vera famiglia, che egli praticamente non conobbe. Eppure, le vicende delle due famiglie sono stranamente parallele e presentano notevoli analogie. Inoltre essi si mossero negli stessi luoghi e, in alcuni momenti, abitarono a poca distanza. Non possiamo assolutamente dire se ebbero contatti, se sapevano l’una dell’altra, ma, dato lo squallore economico e morale nel quale vivevano i Laccabue, probabilmente è dato da escludere ogni rapporto. Il nuovo patrigno di Antonio era un immigrato tedesco, originario di Hessen, di religione cattolica e di professione carpentiere. Aveva sposato il 10 settembre 1883 Elise Hanselmann, una svizzera evangelica, la quale aveva assunto la cittadinanza tedesca grazie al matrimonio. La donna assunse per il giovane Antonio il ruolo di vera madre, con un attaccamento al limite della morbosità. È difficile sapere dove il pittore trascorse l’infanzia, ma forse si può ritenere veritiera l’informazione che egli stesso diede, rispondendo a un formulario per rientrare in Svizzera nel 1920, allorché indicò in Niederweningen, cantone di Zurigo, il comune nel quale “abitò più a lungo”.

18 Gennaio 1901

Bonfiglio Laccabue, emigrato in Svizzera dal Comune di Gualtieri (Reggio Emilia), sposa Elisabetta Costa ad Amrisweil dove, il 10 marzo successivo, legittima il piccolo Antonio dandogli il proprio cognome, che poi il pittore, divenuto adulto, cambierà in Ligabue, rendendolo cittadino di Gualtieri. Non sappiamo quando e dove Elisabetta conobbe Bonfiglio Laccabue e neppure possiamo sciogliere l’enigma se questi fu veramente il padre o solo il patrigno dell’artista. Sappiamo che egli nel 1897 era già in Svizzera, in quanto emigrato dal comune di Gualtieri. Ben presto la coppia inizia un pellegrinaggio per la Svizzera tedesca, che la vede errare nomadicamente per anni. Forse Bonfiglio aveva perso il posto di lavoro, minato fin d’allora da una irrequietudine che si placava solo con l’alcool.

1910-1912

La famiglia Göbel è a Tablat, nel circondario di S. Gallo. Qui Ligabue frequenta le scuole e arriva a superare solo la terza elementare.

17 maggio 1913

Entra nell’istituto di Marbach, un collegio per ragazzi handicappati. Si segnala subito per l’abilità nel disegno e per la cattiva condotta (foto 111). Dell’infanzia di Antonio Ligabue si è tuttavia riuscito a rintracciare alcune testimonianze estremamente indicative. Antonio era un bambino gracile, di piccola statura, con il gozzo, che ne aveva bloccato lo sviluppo fisico. Anche le ristrettezze economiche nelle quali visse dovettero incidere sulla sua crescita. Nel primo anno di vita era stato colpito da rachitismo, che aveva determinato una malformazione cranica. I suoi primi mesi di vita furono segnati dalla miseria e da una avitaminosi che furono appunto l’origine del rachitismo. In queste tristi condizioni dovette trovarlo Elise Hanselmann, che prese quel piccolo ammalato e lo allevò e curò, considerandolo proprio figlio, come ella stessa affermava anni dopo: “Io lo ho allevato 19 anni sempre come un mio vero figlio”. Tra il piccolo e la donna si sviluppò un attaccamento straordinario, quasi eccessivo. L’uno aveva bisogno dell’altra e viceversa. La Hanselmann, chiusa in se stessa e nel suo mondo domestico, lontana da un marito con il quale non poteva comunicare, con un’ansia di maternità sempre frustrata, riconosceva nel piccolo Antonio l’unico essere umano che amava. E lo faceva in modo viscerale. Per la “madre”, il fanciullo aveva degli slanci improvvisi di affetto; quando ne era separato le scriveva lettere e da lei ritornava spesso con il pensiero. Di lei parlava con gli altri ragazzi; quando la nostalgia lo tormentava, piangeva a lungo. Con lei era gentile, la seguiva per casa, l’aiutava in giardino. Eppure era anche lunatico, indomabile, aggressivo; anche così manifestava il suo affetto morboso per la Hanselmann. Forse ne era anche geloso, per cui talora diventava violento e le sue reazioni apparivano incontrollabili. Tutta la giovinezza di Ligabue è segnata da questo strano rapporto di amore-odio; un amore fatto anche di fughe e di ribellioni laceranti.

Maggio 1915-1917

Viene espulso da Marbach. Ha completato la quarta elementare. Si trasferisce con la famiglia adottiva a Staad, dove inizia a fare il contadino. Lavora saltuariamente e conduce una vita girovaga.

18 Gennaio - 4 Aprile 1917

Viene ricoverato nella clinica psichiatrica di Pfäfers. L’internamento è dovuto a una crisi violenta nei confronti della madre adottiva. Aprile 1917 Si ricongiunge con la famiglia Göbel, che nel frattempo si è trasferita a Romanshorn. Rimane con loro ben poco tempo e riprende la vita errabonda. Nei suoi numerosi trasferimenti viene senz’altro in contatto con i pittori girovaghi che costituiscono i naïfs dell’Appenzell. Dalla famiglia adottiva apprese a parlare come unica lingua lo svizzero-tedesco, che è una corruzione dialettale del tedesco. Questa fu veramente la lingua madre di Ligabue, la lingua nella quale pensava, con la quale si esprimeva, anche dopo anni di soggiorno in Italia, allorché reagiva emotivamente ad uno stimolo affettivo, ad una aggressione dall’esterno, a qualsiasi evento lo turbasse profondamente. Ebbe certamente una nevrosi infantile, cercò per tutta la vita di difendersi dalle aggressioni del mondo esterno, creando una serie di barriere che gli precludevano un autentico rapporto con gli altri, ma che anche lo proteggevano emotivamente. Sin da piccolo era un diverso, destinato in una società puritana, borghese e chiusa come quella Svizzera, a essere un emarginato.

11 Giugno 1918

Sostiene la visita di leva al Consolato di Zurigo e viene riformato.

15 Maggio 1919

Ligabue viene espulso dalla Svizzera, su denuncia della madre adottiva. La donna, trovando il giovane indifferente e scostante nei suoi confronti, era andata al Municipio di Romanshorn per lamentarne la condotta, senza rendersi conto delle conseguenze che il suo gesto avrebbe prodotto.

2 Giugno 1919

Viene portato da Chiasso alla questura di Como. Il prefetto di questa città inizia gli atti per inviare Ligabue a Gualtieri, comune d’origine del padre.

9 Agosto 1919

Scortato dai carabinieri arriva in Italia, a Reggio Emilia.

Settembre 1919

Ligabue fugge da Gualtieri tentando di espatriare.

8 Ottobre 1919

Viene fermato e riportato a Gualtieri. Qui vive grazie al soccorso del Comune, di ciò che gli invia la matrigna svizzera e della carità dei compaesani. Inizia a lavorare come “giornaliero”. Conoscendo solo la lingua tedesca, si intrattiene con gli ex-emigranti dei paesi germanici. Già allora disegna. Lavora fino al 1929 presso gli argini del fiume Po. Desidera ritornare in Svizzera e raggiungere al più presto la madre adottiva, vista l’intensità della nostalgia che prova. Avverte la mancanza della famiglia, l’impossibilità di comunicare con gli altri. Gli è difficile trovare lavoro, l’inserimento nel nuovo ambiente richiede uno sforzo superiore alle sue capacità. Il Comune di Gualtieri non era poi in grado di offrirgli un’assistenza che gli permettesse di vivere. I ricordi di Ligabue sono confusi, il periodo svizzero è come una nebbia, illuminata solo dal desiderio del ritorno. Non ricorda esattamente quando fece la visita di leva, non sa quale comune lo abbia inserito nelle sue liste. Viene sottoposto a una visita medica. Non risulta affetto da alcuna malattia contagiosa, né da “malattie organiche clinicamente dimostrabili”, ma è di costituzione debole. Il medico nota l’“ipertrofia della glandola tiroide e del tessuto adenoide del rinofaringe” e una estesa carie dentaria. Non sa consigliare altro che non venga addetto “a lavori…eccessivamente gravosi”.

1927-1928

Lavora sempre più saltuariamente, vive come un selvaggio nei boschi e nelle golene del Po.  Inizia più assiduamente a dipingere e a scolpire con l’argilla. In quell’anno viene avvicinato dallo scultore Marino Mazzacurati. È questo il periodo nel quale Ligabue si viene sempre più distaccando dagli altri. Su questo inselvatichimento dell’uomo si è molto insistito, ma esso, probabilmente, datava dagli anni precedenti, dalla solitudine che lo prendeva, terminato il lavoro, quando si rifugiava nelle stalle a dormire, quando era isolato da qualsiasi consorzio civile. Dopo aver abitato presso l’agricoltore Francesco Mazzoni, egli cerca rifugio tra i boschi del Po. La difficoltà di comunicare con gli altri, il timore degli scherni e le derisioni, l’avvisaglia di crisi personali, l’incomprensione verso i suoi tentativi artistici, il non poter legare con l’ambiente, con una terra che sentiva non sua, la precaria situazione finanziaria: queste le ragioni che dovettero spingere l’artista a chiudersi sempre più in in se stesso. Mazzacurati lo vide: “Vestito con una vecchia divisa da carabiniere che gli aveva regalato il maresciallo e poiché il maresciallo era grosso e la divisa gli stava larga ed inoltre aveva freddo, si era tutto imbottito di fieno così che sembrava un fantoccio… Era terrorizzato dalla gente. Ci vollero molti giorni prima di avviare una conversazione molto prudente, a molti metri di distanza e aver modo di studiarmi. Per sopravvivere aveva percorso a ritroso le tappe dello sviluppo umano”.

1932

Viene ospitato dal flautista Licinio Ferretti. Ormai l’interesse prevalente di Ligabue è rivolto alla pittura. Vive come un girovago, alternando soggiorni in casa di amici con ritiri nelle campagne lungo il Po.

14 Luglio 1937

Viene internato nell’ospedale psichiatrico di S. Lazzaro di Reggio Emilia. Il medico di Gualtieri motiva il ricovero sottolineando il carattere irascibile e violento del pittore e i suoi gesti di autolesionismo. La diagnosi è “stato depressivo”.

23 Marzo 1940

Secondo ricovero nell’ospedale psichiatrico di Reggio Emilia per “psicosi maniaco-depressiva”.

16 Maggio 1941

Lo scultore Andrea Mozzali si assume la responsabilità di far uscire Ligabue dall’ospedale psichiatrico e di ospitarlo nella propria casa a Guastalla. La sua opera pittorica nello stesso anno aveva interessato Luigi Bartolini. Durante la guerra fa da interprete alle truppe tedesche.

13 Febbraio 1945

Terzo internamento nell’ospedale psichiatrico di Reggio Emilia. Il ricovero è determinato dall’aver percosso con una bottiglia un soldato tedesco. La reclusione in casa di cura lo salva da sicure e gravi punizioni.

6 Dicembre 1948

Viene dimesso dall’ospedale. Trova rifugio nel ricovero di mendicità di Gualtieri. Continua a dipingere e lentamente la sua fama si diffonde. Dal ricovero si allontana spesso; si fa ospitare a casa di amici. I critici, i galleristi iniziano ad interessarsi vivamente delle sue opere. Così iniziano gli anni durante i quali lentamente la fortuna sembra volgersi a favore dell’artista. La sua fama si allarga e la sua stessa attività pittorica subisce un netto miglioramento. Critici famosi, ma più spesso giornalisti in cerca di articoli di colore, si interessano a lui. Vince premi, vende quadri, trova amici, spesso interessati, che lo ospitano, su di lui si girano documentari e film. Ma questa è storia ormai pubblica. Egli rimane lo stesso, anche se viene identificando nelle automobili, dopo la passione per le motociclette, il segno di un raggiunto prestigio sociale; ciò avviene con forme maniacali, si accentua in lui il carattere autoritario, l’esaltazione della propria dignità (vorrà un autista, che si tolga il cappello, aprendogli la portiera della macchina per salire).  Come è stato chiaramente dimostrato, questi elementi non derivano altro che da una condizione di povertà, sofferta all’estremo.

Settembre 1955

Prima mostra personale alla Fiera Millenaria di Gonzaga.

1956

Ligabue partecipa al Premio Suzzara.

Febbraio 1961

Mostra delle opere di Ligabue alla Galleria La Barcaccia di Roma.

1962

A Guastalla gli viene dedicata un’ampia antologica. Il 18 novembre, viene colpito da paresi. Dopo vari ricoveri in diversi ospedali, viene dichiarato infermo e inviato al ricovero Carri di Gualtieri. 

27 Maggio 1965

Muore al ricovero Carri di Gualtieri. Nella Pasqua del 1963 fece la prima Comunione, fu egli stesso a chiederla con queste parole, poiché aveva visto che il prete non gli si rivolgeva: “Perché a me no? Suntia na bestia me (sono una bestia io)?”. Quando il prete gli chiese se sapeva cosa fosse l’Eucarestia, Ligabue rispose: “Nostar Signur!”. Si confessò prima, seppur in modo rudimentale. Nel 1964, il 24 luglio, fu anche cresimato dal Vescovo di Guastalla. Credeva in forze occulte in grado di dominare la natura, nella necessità di proteggersi con amuleti, con rituali rassicuranti e con formule magiche, che forse emergevano dall’infanzia svizzera. Prima di morire ricevette, cosciente e attento, l’estrema unzione. A ogni cerimonia religiosa che lo riguardava prestava molta attenzione, affascinato dal rituale, avvertendo che esse lo toccavano ed esaltavano anche personalmente. Sui suoi rapporti con le donne si è pure scritto molto. Era aggressivo e maldestro, sfrontato e volgare, come un adolescente timido, oppure, al contrario, sfuggente. Ebbe un amore tenerissimo, di una purezza incantevole, per un’ostessa. Anche di questo si è scritto. Paralizzato nel letto, a volte, parlava di lei. Eppure era sboccato, amava le barzellette spinte e rideva con un rantolo da lupo. Per lui il sesso era aggressione violenta o abbandono a sogni di una tenerezza infantile. Amava i bambini anche se spesso questi lo rifuggivano. Aveva caramelle per loro e sapeva diventare estremamente dolce. Quasi non osava accarezzarli. Sfiorava, a Guastalla, per ore, una bimba che lo fissava stupita, presa anch’essa dall’incanto di quel rito. Le contornava il viso nell’aria, senza toccarla e le parlava in un tedesco dolce e musicale. Aspra invece diveniva la sua cadenza quando si irritava. Era assolutamente indifferente al denaro, che spendeva con felice smemoratezza, anche se capiva e sapeva riconoscere chi lo sfruttava. Stava alla larga, brontolando, da coloro che, divenuti adulti, da bambini lo avevano deriso. Capiva la psicologia umana. Ad istinto giudicava le persone e raramente si sbagliava. Aveva coscienza di quali sue opere avessero valore e quali no. Spesso, per clienti che non stimava, volutamente produceva quadri artisticamente non validi. Non fu mai veramente “pazzo”: si costruì semmai delle difese, un suo strano modo di avvicinare il mondo. Attraversava fasi di depressione e di agitazione, che tuttavia non influirono sulla sua attività pittorica, se non rallentandola o rendendola frenetica. Le sue opere non sono in alcun modo confrontabili con quelle degli alienati mentali.  Nella cronaca parrocchiale di Gualtieri, quell’anno fu così riassunto: “Nel corso del 1965 vi sono stati 44 morti, di questi hanno suscitato compianto: un giovane di 16 anni, uno di 15 annegato nel Po, un professore della Scuola Media e il pittore pazzo Antonio Ligabue”.  L’artista infatti si era spento il 27 maggio, alle ore 20 al ricovero Carri di Gualtieri, mentre a Reggio Emilia dal 16 maggio, si era aperta, in una banca, una grande mostra antologica e contemporaneamente usciva una monografia su di lui. Il lascito consisteva in poche cose minutamente elencate, alcuni debiti il cui pagamento non fu più sollecitato, le medaglie vinte ai concorsi di pittura e, cari al suo cuore, alcuni animali imbalsamati: un coccodrillo, un’aquila, un airone. Andrea Mozzali regalò la fusione della maschera funebre, che aveva fatto a Ligabue e che fu posta sul loculo del cimitero di Gualtieri. Si costituì per l’occasione un “Gruppo amici di Ligabue”, che affisse manifesti funebri, pagati con un prelievo dal libretto bancario del morto, così come avvenne per le onoranze e le cerimonie. Tutto era come sempre era stato. Quella fine di maggio e quell’inizio di giugno il tempo fu burrascoso, pioveva spesso, fittamente e monotonamente, ma il cielo talora veniva aperto da improvvisi squarci di sole. Proprio come nei quadri di Ligabue.

Marzio Dall’Acqua